Quello che nasce nella scrittura, vive di scrittura.

Mi colpì il commento al mio pezzo. Oggi non me lo ricordo, chiaro.

Ho come una batteria di pentole nella memoria e una donna robusta la lava e la sbatte. Non rammento i fatti, però ricordo un’esegesi spaccaossa. Di quelle che piacciono a me. Di quelle che neanche mezzo secondo dopo già fantastichi sulle sue mani e ti chiedi se lo fa con tutte, se ha uno o due figli, se ha un accento pesante e se lo incontrerai mai.

A maggio utilizzò così bene quel punto e virgola che io ero già una sua devota.

A inizio giugno mi ritrovai avvolta nell’olio profumato e indispensabile delle sue righe, mi facevo accarezzare dai toni e dal vocabolario come una zoccola in una fumeria d’oppio.

A fine giugno mi sorpresi ad impattare con un paio di consecutio temporum di tale perfezione che scrissi a Umberto Eco invitandolo a fare i bagagli.

Era luglio quando ebbi la mia prima dedica. Tutta mia, solo per me e per il mio ego. I suoi tre puntini di sospensione, infilati in smoking, mi invitavano a danzare su melodie sconosciute fatte di ipotesi e possibilità tutt’altro che letterarie.

A metà luglio utilizzò il termine “varchi” in un piccolo pensiero senza pretese e io sfondai il muro del suono attraversandoli come se non avessi fatto altro nella vita.

L’estate finì con uno scrigno pieno zeppo di congiuntivi divinamente declinati, lettere maiuscole gonfie e mature come ciliegie, scambi, chiose, glosse, postille.

Mai una spiegazione fuori posto, mai una ripetizione, mai un’allusione banale, mai una sbavatura concettuale, mai un carattere di troppo.

Facemmo l’amore, notte dopo notte, intrecciando le dita e i tasti, preferendo una parentesi graffa a un inflazionato, ridicolo emoticon.

La parentesi graffa era solo nostra. Questo contava più di tutto.

A distanza di tempo lo ringrazio per avermi nutrita, un pensiero dopo l’altro, fino a farsi spezzare le articolazioni, fino a farsi fondere il cervello, mai pago, nello splendido culto del nostro sabba verbale.

Ne persi le tracce all’improvviso. Fu un colpo durissimo, lo ammetto. Ma non l’ho mai cercato. Non per timore, no. Ma perché quello che nasce nella scrittura, ha bisogno di scrittura per sopravvivere. Ogni altra modalità, è destinata a fallire.

9 risposte a "Quello che nasce nella scrittura, vive di scrittura."

  1. … perché quello che nasce nella scrittura, ha bisogno di scrittura per sopravvivere. Ogni altra modalità, è destinata a fallire…
    condivido, complimenti

  2. Letto. Riletto. Riletto ancora. Per scrivere questo commento, mi ci è voluto coraggio. La scrittura di cui scrivi non potrà mai essere racchiusa nelle mie parole, eppure non ha nutrito alcuna rassegnazione. Piuttosto un invito a scrivere perché la scrittura lo esige quale condizione. O altrimenti, muore.

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