Mi guardai intorno un paio di volte e mi tirai su i pantaloni troppo larghi, afferrandoli da dietro, come un gatto per la collottola. Il gesto non fu elegante, ma non era mia intenzione esserlo.
Cercai una vetrina per specchiarmi e controllare a che punto fossi.
La vetrina conteneva un manichino secco e grigio, mezzo nudo, senza sesso, con le braccia robotiche e un futuro stagnante. Secondo me, stava anche scomodo. La tentazione di entrare, cambiargli posizione, coprirlo, dargli una natura e da bere, picchiare le commesse e andarmene, senza acquistare nulla, fu forte.
Volevo salvare un manichino, quel giorno. Volevo salvare un pezzo di plastica puzzolente, plasmato a forma di essere umano e creato con l’unico scopo di essere quello che era.
Soffro perché non so scegliere le mie battaglie.