Sta succedendo. Sto iniziando a guardare la valigia che ho di fronte come un arcobaleno piegato in quattro e reso rettangolare. Perché è chiaro a tutti che, se la roba stipata a pressione lì dentro non fosse catalogabile come “vestiario”, ma come “parallelepipedo di tinte da portarsi dietro”, la mia giornata sarebbe migliore.
Ci sarebbe una qualche possibilità.
Ma non siamo sempre noi a vagare dentro i nostri significati?
Ho deciso, quindi: se, malauguratamente, qualche viandante dovesse chiedermi: “che vestiti ha messo in valigia?”, io lo guarderò con disapprovazione, come fosse pazzo e gli risponderò: “di cosa diavolo sta parlando? Quali vestiti? Quello è colore! Sono riflessi di luce inesistenti, eppure visibili dall’occhio umano che io, e io soltanto, sono riuscita a modificare nella forma, nella posizione e nell’essenza che la natura ha provato a conferirgli!”, poi mi allontanerò come una diva, lentamente, ma inesorabilmente e lascerò il viandante inebetito, ma illuminato da una simile rivelazione che, ovviamente gli cambierà la vita.
A me, fare la valigia, fa male.
Mi rende possibile.
da quando ti leggo, ti ho sempre immaginata in bianco e nero, in tutte le sfumature possibili fra il bianco e nero, i colori con cui si catalogano le opere d’arte, perché i colori in una foto, o nell’occhi di chi guarda, possono produrre false percezioni
mentre, quando ti si legge, qui o ancor più nei centoquaranta caratteri, la percezione di te è netta, fende l’aria come una lama, non lascia spazio ad interpretazioni; ti interpreti già rivelata.
un pregio, oltre che, nel secolo dell’infestazione parassitaria di cui soffrono i socialnet, coraggio nel svelare nuda l’anima in tutte le sfumature di grigio che descrive la tua essenza, dagli argomenti più frivoli a quelli che scivolano negli abissi dell’Io.
più semplicemente, desideravo trasmettere la mia percezione di te che scrivi, di come nelle tue sfumature all’occhio gotiche, che navigano dal bianco e nero, si rivelino tutti i colori di una tavolozza impressionista.
quella che custodisci in quella valigia.
ciao e scusa questa piccola invasione.
Più che un’invasione, un regalo.
Che mi permetto di portarmi a casa, silenziosamente.
Dicendoti solo “grazie”. Coi colori che preferisci.