Stanotte ho sognato Roosevelt. Nonostante io non ne ricordi minimamente i lineamenti, so che era lui. C’era altra gente, insieme a me e, ovviamente, tutti a dire: “c’è Roosevelt, c’è Roosevelt!”, quindi, era proprio lui. Ma non posso affermare che si trattasse di un uomo, era più una presenza, un’entità storicamente significativa, superficialmente e banalmente collegata a una qualche idea di miglioramento e rivalsa, che si faceva strada tra le pieghe della mia speranza, del mio bisogno di avere un leader, di non abbandonarmi al pessimismo e all’inevitabilità dell’espatrio coatto. Io non lo saprei neanche dire che cosa ha fatto Roosevelt di così eccezionale, nel dettaglio, ma che importa quando ti guardi intorno e il popolo sembra entusiasta? Quando le macchine si mettono in moto, le saracinesche dei negozi si alzano, i cinema si riempiono, le notizie non fanno più paura? Mica puoi essere l’unica deficiente che non riconosce l’inestimabile valore dell’operato di Roosevelt, no? Al mio risveglio avevo la mano destra dolorante. Che stretta, quel Roosevelt! Ecco, lo ricorderò per la sua vigorosa stretta di mano e perché, per il breve tempo di un sogno, io non ho avuto voglia di scappare.
Nel deserto politico contemporaneo ci siamo ridotti a sognare Roosevelt e il suo rassicurante faccione. Ma del «New Deal» tanto atteso non si sente nemmeno l’odore…
L’odore non è quello sperato.
Dietro ogni grande uomo c’è una grande psicosi 🙂
E dietro una grande psicosi ci sono io.
Come sai.
si sogna sempre e solo di se stessi; la mamma, il fornaio, Roosevelt, prestano solo la faccia (o la mano) a noi stessi. Fossi in te guarderei bene quale riforma ti (ci) stai preparando. Non vorrai mica essere l’unica a non riconoscere l’operato di Roosevelt!
Consiglio accolto.
Grazie.