Fisso l’orologio perché, cascasse il mondo, io, alle 12, inizio a cucinare.
E non è che inizi a cucinare perché siamo in tanti o perché ho da portare a casa un risultato particolarmente complesso o perché amo così tanto cucinare da non poter attendere un minuto di più.
No.
Inizio a cucinare perché è mio compito e, se mi viene assegnato un compito, io, non solo lo eseguo, ma lo eseguo prima del tempo. Poco importa se si tratta della ristrutturazione della Cappella Sistina o dell’elaborazione razionale del desco.
E perché dovrebbe interessarmi che, magari, gli altri non avranno fame alle 12.45?
E perché dovrebbe interessarmi che io per prima non avrò fame alle 12.45?
E perché dovrebbe interessarmi che il mio menu prevede una singola portata preparabile in, tipo, 5 minuti netti, contando anche il coltello che ti sfugge di mano, cade, lo raccogli, lo lavi e riprendi a tagliuzzare il soffritto?
Io, alle 12, inizio a cucinare.
Chi c’è, c’è.
E, comprendo che possa apparire come una forma di compulsione curabile con alcune sedute di psicoterapia, ma non è così: è la più alta forma di reperimento della libertà esistente in natura.
Fai quel che devi fare, fallo alla grande, incartalo come “è sempre bene mangiare presto, si digerisce meglio e il riposino post-prandiale viene meglio”, imprimi in quello che stai facendo cura, attenzione, una qualche forma d’amore allucinante e ricercata – tipo quella che serve per piegare in quattro un tovagliolo di carta o fare il ricciolo sul burro per la pasta al burro – sorridi dolcemente a tutti mentre prepari, mangi, mastichi, deglutisci, sii presente a te stessa e al mondo per quell’oretta scarsa e poi, quando tutto sarà nuovamente a posto, pulito, sterilizzato e pronto per un nuovo intervento di alta cucina – leggi, nuovamente le 12 di un altro giorno – torna beatamente a farti i cazzi tuoi, rotolati nel nulla, approfondisci la noia, piangi, ridi, leggi, fai di conto, assaporando l’agrodolce consapevolezza d’essere una creatura meravigliosa, irreprensibile, che non farebbe mancare mai nulla a nessuno, che non si sottrarrebbe mai a un impegno, a una parola data, a una responsabilità.
Assapori tutto questo, perché è questo il tuo vero pasto.
Mi hai fatto venir voglia di lavorare con più consapevolezza, grazie.
Oh, Michele, che cosa grossa mi dici.
Sempre grazie per le tue parole.
Hai espresso in modo non contestabile il concetto di dovere, tutto qua.
un giorno cucinerò con te