Al massimo un’ora dopo il suono della sveglia, la gola mi si serra di nuovo.
Pare la porta Santa: pesante pertugio destinato a star chiuso la maggior parte del tempo, finché un evento del tutto arbitrario, fortemente celebrativo, non la costringe ad aprirsi, lentamente e con fatica.
Non del tutto.
Il mio evento celebrativo si calcola in gocce amare e mezze pasticche, perché intere fanno troppa paura e poi mica siamo pazzi.
Ho pensato a questa cosa del “non del tutto”. Mi pareva di ricordare che socchiuso era bello e rimandava a possibilità, raggi di luce che filtrano, chiacchiere che si sentono a distanza e ti fanno capire che c’è qualcuno in giro. E non sei solo. Non del tutto.
Invece, poi, pare non sia così. Che sia più “non ci riesco fino in fondo” e meno “dai, che vedo uno spiraglio”.
Provo a spostarmi dall’altra parte della porta e a spingere, ma non funziona senza appigli.
Ho cercato gli appigli nel buio. Non riuscendo a vederli, me li sono immaginati: forti, colorati, resistenti.
Non ci ho azzeccato mai. Non del tutto.
Mi tocco di nuovo la gola attraverso il collo. Il collo è magro come mai e sento tutto quello che c’è dentro. Conto dei piccoli anelli di cartilagine e li premo, li dondolo, li sposto. Non so piantarla coi tentativi alla cieca. Non del tutto.
Quando arriva l’estate, i mostri sembrano ancora più grossi. Non è vero che la luce li annienta: semmai si vedono meglio, in ogni dettaglio. E, i dettagli, non tutti li possono sopportare, perché, poi, ognuno si chiude a modo suo e se ne torna nel buio. A decidere se c’è davvero uno spiraglio o se lo sta solo immaginando, prima di chiudere gli occhi.
All’angolo.