Come si sceglie il momento in cui ci aspetteremmo parole diverse?
Cioè, com’è che, a un certo punto, non scorre, non basta, non buca, non flette, non raggiunge, non genera, non diventa, questo parlarsi?
Ti conti le costole e pensi che hai ancora la pelle di vent’anni. È il cellophane, sai?
Quello tra te e il resto. Tra te e te. Tra te e ieri sera. Tra te e domani.
Eppure sei aguzza, si dovrebbe squarciare, e niente. Forse sei morbida, dovrebbe scivolare, e niente.
La calma ha il suo credo, che l’esigente non rispetta. Ed è quello il momento.
C’è un momento particolare, di fronte a una cosa fragile, in cui senti impellente l’istinto di schiacciare l’acceleratore e schiantartici contro, perché continuare a sentirla fragile ti è impossibile: o muore o sopravvive, vigorosa e pronta. Pronta a tutto.
Non ci sono mediane. Non ci si salva un po’, non si gode un po’. Va oltre il dare e l’avere.
E’ una condizione.
Sono condizioni nette, sono scelte a monte, rifiutano i grigi e rifiutano d’essere sottofondi. Non si torna.
E’ una questione di letto. Ci vai a letto da tutta la vita con quei momenti. Li sai e li percorri.
Il loro ritmo ti da’ alla testa, sono tuoi, è te che vogliono. E ti hanno.
sei ció che fai…
Ma guarda che se un po’ lo tiri, il cellophane si smolla. Che a te sembra sempre che sia grande uguale, ti ci tuffi dentro e senti che non scorre non si rompe non cede. Poi fai un passo indietro e ha la forma della tua faccia.